Yakuza: tra politica e affari / Manuela Flore

Tratto da Yakuza: tra politica e affari / Manuela Flore, relatore Francesco Gatti [2001] Università degli Studi di Venezia, Ca’ Foscari: Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, A.A. 2000/2001

“It is not that the Japanese are so complex, it is that their complexities are different from ours”(1). La stampa internazionale è solita dipingere il Giappone come un paese che, nonostante la dolorosa sconfitta subita durante la Seconda Guerra Mondiale, ha raggiunto uno sviluppo economico senza precedenti anche grazie ad un popolo ordinato e rispettoso. Inoltre, le statistiche pubblicate mostrano come il paese del Sol Levante presenti un tasso di criminalità di gran lunga inferiore a quello dei paesi occidentali altrettanto industrializzati.

Come avremo modo di scoprire, in realtà, la società nipponica è permeata da una elaborata organizzazione criminale, la yakuza, saldamente radicata nella cultura autoctona.

Quando si parla di yakuza si intende fare riferimento a un fenomeno prettamente autoctono deludendo, forse, le aspettative ci chi erroneamente tende a riconoscervi un fenomeno d’importazione statunitense.

Considerato il suo profondo radicamento, ho ritenuto opportuno risalire alle sue origini storiche constatando che la sua comparsa è strettamente connessa ai fatti che sconvolsero il Giappone del XVII secolo. L’ascesa dei Tokugawa diede inizio a una serie di trasformazioni politico-sociali di cui risentirono soprattutto i samurai che, fino ad allora, avevano occupato un ruolo di prestigio. Con la secolare pax Tokugawa, i samurai incapaci di inserirsi nelle file di burocrati, si ritrovarono a vivere ai margini della società riunendosi in piccoli gruppi chiamati hatamotoyakko. Questi viaggiavano lungo le strade maestre seminando il terrore tra la popolazione che, incapace di difendersi, subiva le loro angherie. Diverse fonti storiche tendono a riconoscere in loro gli antenati degli yakuza moderni tuttavia, questi ultimi preferiscono identificarsi nei machiyakko, bande di giovani rounin pronti a intervenire con coraggio in difesa dei deboli cittadini. L’immagine eroica di queste figure fu agevolata dalla diffusione di racconti orali che ne mitizzavano le gesta ma, in realtà, anche i machiyakko erano spesso coinvolti in attività illegali.

simbolo dei TokugawaCon il consolidarsi del governo Tokugawa nel XVIII secolo, i gruppi scomparvero lasciando spazio a nuove forme di crimine organizzato: i tekiya e i bakuto. La diffusione delle nuove coalizioni fu facilitata dalla politica del tempo che, con la stratificazione sociale, impediva il reinserimento degli esclusi costringendoli a vivere ai margini della società. Questi venivano spesso raccolti dai capi bakuto e tekiya che se ne prendevano cura procurandogli una sistemazione decorosa. L’affidabilità della manodopera offerta fece sì che le stesse autorità locali si rivolgessero ai criminali affidando loro la costruzione di importanti opere pubbliche. Oltre a svolgere la funzione di procacciatore di manovalanza, le coalizioni gestivano svariate attività illegali in prevalenza legate al gioco d’azzardo, allo strozzinaggio e all’estorsione.
La collaborazione tra crimine organizzato e amministrazione locale fu rafforzata nella prima metà del XVIII secolo con l’aumento delle ritorsioni popolari anti bakufu. La necessità di riportare l’ordine spinse il governo a chiedere l’intervento di tekiya e bakuto ai quali affidarono funzioni di controllo sui territori da loro controllati, in cambio essi gestivano indisturbati parte dei loro traffici.

Nella seconda parte dell’elaborato ho cercato di evidenziare come la collaborazione con le istituzioni pubbliche si estese sino ad arrivare alle più alte cariche pubbliche. Nello stesso capitolo è possibile notare come, sebbene all’origine la collaborazione non fosse frutto di una comune ideologia politica, gli sviluppi storici fecero della yakuza un baluardo al servizio dell’imperialismo. Il disorientamento generato dalle pretese di Perry coinvolse anche la yakuza sensibile al fascino di Mitsuru Toyama, le cui idee alimentarono il loro spirito nazionalista. Quest’ultimo fu l’uomo che cambiò in modo radicale la vita del crimine organizzato e della politica nipponica. Le sue importanti amicizie nel settore politico e economico gli consentirono di gestire indisturbato attività tipicamente gestite dagli yakuza e di finanziare un vero e proprio esercito al servizio dell’imperialismo.
Negli anni del grande conflitto, il sostegno degli yakuza si tradusse in vere e proprie campagne di terrore mirate a eliminare le forze politiche di opposizione e a creare le condizioni ideali per favorire lo sviluppo economico del “grande Giappone”. In sostanza la loro presenza garantiva la piena occupazione della forza lavoro disponibile sia in patria che nei territori occupati. In questo contesto è interessante notare come i capi yakuza, ormai infiltrati a tutti i livelli delle istituzioni politiche, agevolando l’ascesa economica del paese, accumularono grossi capitali e strinsero solide relazioni con i più importanti esponenti del mondo economico.

E’ interessante notare come, malgrado molti yakuza furono iscritti nelle liste di epurazione perché sostenitori del militarismo, il fenomeno continuò a persistere anche negli anni dell’occupazione. La campagna antimilitarista non cancellò del tutto la yakuza, gli esclusi riorganizzarono le coalizioni accogliendo tutti gli emarginati e quei soggetti che, rimpatriati dopo la guerra, non riuscivano a trovare una sistemazione dignitosa.
Giovandosi delle divisioni interne allo SCAP e approfittando della loro strategia amministrativa, i tekiya mantennero le vecchie funzioni esattoriali; inoltre strinsero buoni rapporti con l’amministrazione locale che richiedeva il loro intervento per questioni legate all’ordine pubblico. Conquistata la stima delle forze alleate, i capi yakuza ottennero numerosi appalti nel settore dell’edilizia e in quello portuale gestendo il mercato nero ed il settore del divertimento.

E’ curioso notare come l’atteggiamento degli alleati negli anni della guerra fredda favorisca la rinascita della yakuza e il suo consolidamento. Lo smantellamento dei grandi complessi industriali, colpevoli di aver contribuito all’imperialismo, e l’incarcerazione dei militaristi furono accompagnati dalla diffusione di una coscienza politica tra i lavoratori. Le organizzazioni sindacali guidate dai comunisti, a cui lo stesso SCAP aveva concesso l’amnistia, crebbero in modo considerevole. Il comportamento delle forze di occupazione si inasprì quando si diffuse il timore che “l’ondata rossa” potesse coinvolgere anche il Giappone. Per scongiurare ogni pericolo, contando sul diffuso sentimento anticomunista, gli americani cercarono la collaborazione delle autorità locali. Successivamente fu interrotta la campagna contro i militaristi e ordinata la scarcerazione di tutti quelli che in passato avevano stretto solide relazioni con il crimine organizzato. I primi a sostenere la linea politica furono i gurentai, un nuovo gruppo di criminali noti per l’inclinazione alla violenza e per l’avversione verso le idee della sinistra. Da questo momento in poi, la yakuza assunse il ruolo di forza paramilitare al servizio del Partito Liberale Democratico che, dagli anni ’50, esercita un dominio pressoché ininterrotto sulla scena politica giapponese. Ancora oggi la yakuza fornisce le guardie del corpo agli uomini politici più importanti, appoggia le campagne elettorali procurando voti con l’intimidazione e interviene spesso nel settore industriale, dove la loro pressione mira a regolare l’attività creditizia o questioni di sicurezza.

La stampa americana, insospettita dalla potenza di questi gruppi, denunciò un giro di corruzione in cui erano coinvolte le stesse autorità americane. Lo SCAP chiese l’intervento della magistratura locale che ordinò l’arresto di circa 50.000 sospetti. In realtà, solo il 2% dei condannati scontò la pena, infatti successivamente fu accertato che le sentenze di innocenza furono emesse sulla base di false testimonianze rese dietro alti compensi in denaro e in seguito a forti pressioni esercitate da autorevoli politici.

Successivamente ho ritenuto opportuno fare una panoramica sulle attività economiche gestite dalla yakuza sottolineando come la yakuza sia riuscita a stare al passo con i tempi e ad approfittare del grande sviluppo economico degli anni ’80. Ai nostri occhi apparirà sicuramente curioso scoprire che gli investimenti furono avvantaggiati dallo stesso sistema legale nipponico in cui, fino al 1992, mancava un normativa che impedisse la formazione di organizzazioni criminali e il riciclaggio di denaro sporco. Nella parte finale del terzo capitolo ho voluto accennare a tre figure, sarakin, jiageya soukaiya, la cui presenza ha fatto sì che la yakuza diventasse una delle organizzazioni criminali più potenti del mondo. Gli ingenti capitali ricavati dal controllo di attività illecite, le hanno permesso di finanziare operazioni legalmente riconosciute e di conquistare una posizione rilevante anche in campo internazionale investendo capitali in America Latina, nelle isole Hawai, in Australia, in Canada e negli Stati Uniti.

 

Negli ultimi anni l’industria cinematografica ha avuto la tendenza a descrivere gli yakuza come moderni samurai che si muovono in un contesto fatto di valori tradizionali, affascinati simbolismi, antichi rituali e rigide norme comportamentali. Per avere una maggiore comprensione del fenomeno, ho ritenuto opportuno soffermarmi sulla struttura dei gruppi caratterizzati da un rigido rapporto gerarchico i cui componenti sono consapevoli della posizione occupata. Ogni yakuza si muove in un mondo spesso fatto di contraddizioni e in cui il senso dell’onore è preservato dall’umilta e dall’autocontrollo e, contemporaneamente, dalla forza fisica e dalla vendetta.

Oggi la yakuza vanta il controllo sui settori economici più disparati comprendente il commercio di armi di fuoco, la gestione del settore del divertimento, estorsioni, gioco d’azzardo, spaccio di sostanze stupefacenti, controllo del mercato della pornografia e della prostituzione. Gli yakuza si muovono indisturbati a bordo di lussuose macchine americane, indossando abiti firmati, esibiscono con disinvoltura il loro biglietto da visita e si riuniscono in eleganti uffici ubicati in alti palazzi sulla cui parete è affisso il distintivo dell’organizzazione.

di Manuela Flore 

Note

1. Rome, Florence. 1975. The Tattooed men. Delacorte Press, New York, p. 1.