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Quando l’imperatore era un dio / Julie Otsuka

Quando l’imperatore era un dio di Julie Otsuka narra con un linguaggio semplice e diretto l’internamento dei cittadini di origine giapponese nei campi di lavoro dello Utah, in seguito all’attacco di Pearl Harbour. Un tranquillo padre di famiglia arrestato nel cuore della notte per finire in diversi campi di prigionia. Poco tempo dopo sua moglie e i suoi bambini sono costretti a un viaggio verso l’ignoto, su un treno affollato e sporco che li porterà in un campo nel deserto dello Utah. Fino alla fine del racconto non sapremo i loro nomi, perchè quella storia riguarda tutti i nisei, americani giapponesi dopo l’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941 (una di loro era la nonna dell’autrice che compare anche in una foto d’archivio, come racconta la stessa Julie Otsuka a Nesweek: Julie Otsuka on Her Family’s Wartime Internment In Topaz, Utah).

Una storia emblematica del destino di chi divenne invisibile per tutta la durata della Guerra e una pagina poco conosciuta della Storia americana.
Dopo l’attacco a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941, infatti, aumentano le restrizioni per i cittadini giapponesi, tedeschi e italiani presenti sul suolo americano che vengono dichiarati enemy aliens, sono quindi in condizione di libertà vigilata e se giudicati pericolosi, trasferiti in un campo di prigionia.

I Giapponesi presenti sulla costa del Pacifico erano all’epoca circa 112.000 e più della metà sarà deportata e internata in campi di prigionia perché ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale. Molti di loro erano cittadini americani, nati e cresciuti negli Stati Uniti.
Manzanar in California è il più famoso dei campi di prigionia, altri si trovano, in Arizona, Wyoming, Arkansas, Utah, Colorado.
I prigionieri lasciarono i campi all’inizio del 1945,  ad ognuno furono assegnati 25 dollari e un biglietto ferroviario per tornare a casa, ma in realtà solo pochi fortunati ritrovarono la propria casa e la propria terra. I prigionieri più pericolosi furono rilasciati solo nel 1946.
Anche il mancato risarcimento ammesso nel 1948 in realtà cadde nell’indifferenza, la documentazione era stata persa e pochi dei deportati furono risarciti. Tra la vergogna del governo americano e la paura della comunità giapponese di essere ulteriormente danneggiata, la riabilitazione chiesta dai parenti dei deportati è arrivata solo nel 1988, quando il Presidente Regan chiese pubblicamente scusa in nome degli Stati Uniti e formulò per decreto un risarcimento puramente simbolico ai sopravvissuti.


Segnalo l’articolo di Silvia Pareschi del 16/02/2013, Enemy aliens in America – I romanzi di Julie Otsuka e le storie dimenticate dei giapponesi schedati e internati nei campi di prigionia  sul sito di Nazione Indiana, un progetto dell’Associazione Culturale Mauta, via Bruno Maderna 2, 20138 Milano.

Per approfondimenti sulla storia dell’internamento dei giapponesi americani durante la Seconda Guerra mondiale

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