La politica della yakuza dalle sue origini fino al dopo guerra / Manuela Flore

2.1 Inizio della collaborazione della yakuza e bakufu.

I Tokugawa adottarono una serie di misure che consentirono la costruzione di un apparato istituzionale regolato da rigide norme comportamentali tali da assicurarne la stabilità per più di due secoli e mezzo. La riorganizzazione del territorio fu accompagnata da un complesso sistema di controlli mirati ad arginare qualsiasi rivolta destabilizzante. Per questo, ogni daimyō aveva alle sue dipendenze un contingente di forze inviate da Edo che osservava scrupolosamente le fortificazioni costruite nei singoli han. Oltre al sankinkōtai, il controllo su di loro fu rafforzato dalla presenza dei metsuke, una sorta di polizia segreta a cui era affidato il compito di visionare sull’operato dei daimyō e individuare i gruppi potenzialmente eversivi.[1]

L’amministrazione dei Tokugawa fu agevolata dall’adozione dell’ideologia confuciana che, introdotta in Giappone agli inizi del V sec., si incentrava sull’esaltazione dei rapporti umani basati sulla benevolenza e sul riconoscimento dell’umanità dell’altro per una pacifica convivenza sociale.

Secondo Confucio, ogni individuo deve accettare lo status in cui vive e osservare spontaneamente gli obblighi derivanti: esercitare la pietà filiale verso i genitori, obbedire all’imperatore, e subordinarsi al superiore.[2] Adattato alle esigenze autoctone, il pensiero confuciano favorì il congelamento della società all’interno della quale un individuo non poteva migliorare o cambiare la sua condizione socioeconomica.

Il malessere della popolazione, stanca di dover soddisfare i capricci del bakufu, si manifestò nelle continue ribellioni. Tuttavia, poiché il governo non disponeva di una vera e propria forza di intervento, cominciò a delinearsi una stretta collaborazione tra le istituzioni e i gruppi di fuorilegge. E’ probabile che la richiesta d’aiuto fosse connessa a due motivi principali. Innanzi tutto, la pax Tokugawa aveva reso superfluo il pratico esercizio dell’arte militare di conseguenza, non esisteva una vera e propria forza di polizia capace di sedare i disordini inoltre, considerata l’ostilità di questi ultimi, qualsiasi approccio pacifico sarebbe stato vano.[3]

In un simile contesto l’unica alternativa era quella di rivolgersi ai gruppi yakuza, gli unici ad aver mantenuto vivo l’uso delle armi. Inoltre, nel corso degli anni tekiya e bakuto erano riusciti a conquistare la fiducia della gente comune che li ammirava per le gesta eroiche contro i prepotenti usurpatori. A tale proposito, uno dei maggiori esempi di collaborazione si realizzò tra il 1735 e il 1740 quando ai tekiya fu affidato il compito di assicurare l’ordine nei niwabari da loro controllati. Negli stessi anni il governo legittimò la loro posizione affidandogli funzioni esattoriali.

Le nuove disposizione introdotte dal Codice Penale del 1805, istituirono un ufficio centrale che si serviva di otto ufficiali itineranti ai quali fu affidato il compito di ispezionare le aree visitate. Con il tempo, gli ufficiali strinsero accordi con i bakuto che ne approfittarono per rafforzarsi sia sul piano economico che su quello politico. Questi procuravano loro informazioni sui ribelli e appoggiavano gli interventi delle istituzioni in cambio, gli ufficiali evitavano di interferire nelle loro attività illegali e limitavano le misure punitive.

Con il trascorrere degli anni la collaborazione tra i due si intensificò; diverse fonti documentano che i bakuto ottenevano la loro protezione versando denaro direttamente nelle tasche dei capi che si impegnavano a non fare intervenire i loro subordinati.[4]

 

2.2 Sviluppo della coscienza nazionale.

Il Giappone del XVIII e XIX sec. presentava le condizioni ideali per la formazione e lo sviluppo di una coscienza nazionalista favorita dalla stessa posizione geografica del paese i cui confini nettamente delineati, resero forte l’estraneità “dell’altro”.[5]

Dopo il fallito tentativo dell’invasione mongola, la coscienza unitaria si consolidò nel periodo Kamakura, XIII e XIV sec., con la comparsa delle prime scuole buddhiste a sfondo nazionalista di cui Nichiren è l’esempio più rilevante. Nel processo di unificazione portato avanti dalla politica del bakufu, il Neoconfucinesimo del XVII sec. divenne la base ideologica dei Tokugawa. Seguendo la sua etica, ogni individuo deve avere piena consapevolezza del suo status, egli è tenuto a muoversi nel contesto sociale in cui è inserito adempiendo con negligenza ai doveri consoni allo status occupato.

Se da un lato l’etica neoconfuciana favoriva l’esistenza di una struttura ordinata, dall’altra aumentava le frustrazioni della gente che sviluppò una forte ostilità nei confronti delle idee straniere e a rivalutare le tradizioni autoctone fondate sullo Shintoismo, la via degli Dei.

Nella sua forma originale, la religione tradizionale è costituita da un insieme di credenze religiose e mitologiche basate su cerimonie di purificazione, offerte e adorazione. Il Kojiki e il Nihonshoki, antiche cronache giapponesi risalenti al VIII sec., rifacendosi alla discendenza divina della famiglia imperiale ne legittimavano il potere sottolineando così l’unicità del Giappone e del suo popolo.[6]

Sebbene gli intellettuali cercassero di conciliare le posizioni contrastanti, la rivalutazione del patrimonio culturale shintoista alimentò l’ostilità nei confronti del bakufu che, era opinione comune, esercitava il potere in modo illegittimo. Questa teoria fu avvalorata dal il pensiero di Motoori Norinaga, (1730–1801) che, con il Kokugaku, scienza della nazione, a partire dalla seconda metà del XVII sec. contribuì allo sviluppo del nazionalismo. I punti salienti del suo pensiero sono contenuti nel Kojikiden (1764–1798) nel quale, rifacendosi allo yamato kokoro, affermava la superiorità del cuore giapponese e la sua purezza che poteva essere ritrovato solo estirpando le influenze straniere, confuciana e buddiste, che lo contaminavano. Tra il 1740 e il 1800, il pensiero di Norinaga fu accolto nella scuola di Mito che, soprattutto con il contributo di Aizawa Yasushi, padre del kokutai, fornì le basi ideologiche per il rovesciamento del bakufu.[7]

Sottolineando ancora una volta l’origine divina dell’Imperatore, il kokutai cambiò la direzione della devozione, non più diretta al signore feudale, concetto tipico dei samurai, ma all’Imperatore, genitore di tutti i suoi sudditi. Intimoriti dal suo carattere destabilizzante, i Tokugawa cercarono di impedirne la diffusione tuttavia, non ottennero i risultati sperati infatti, le idee nazionaliste filtrarono nelle classi inferiori dando vigore ai malumori e alle frustrazioni.

La situazione peggiorò quando nel 1853 il Commodoro Perry chiese al Giappone l’apertura di scali marittimi proposta che gettò il paese nello scompiglio dando definitivamente inizio al bakumatsu, la fine del bakufu. Le pressanti richieste degli americani diedero vita a fazioni opposte: da una parte, i sostenitori del bakufu, nel tentativo di rinsaldare il loro potere, sostenendo l’inferiorità militare del Giappone, erano favorevoli a una politica di apertura. La fazione opposta, in prevalenza costituita dai nuovi nazionalisti, si rifiutava di accettare le proposte americane prevedendo un’invasione straniera. Nel tentativo risolvere lo scontro, dopo secoli di incontrastato governo militare, fu chiesto l’intervento dell’Imperatore che, ignaro del pericolo reale, si oppose all’apertura. Le incessanti pressioni degli occidentali costrinsero il bakufu ad andare contro il volere di Kyotō e a concedere l’apertura dei porti. La decisione fu legittimata dalla piena consapevolezza che, considerata la sua inferiorità militare, il Giappone non sarebbe stato in grado di affrontare un nemico così potente.[8]

Naturalmente le reazioni non si fecero aspettare, infatti, le concessioni del bakufu alimentarono l’ostilità degli oppositori che, al grido di sonnōjōi, incitarono il popolo affinché, compatto, si unisse per fermare con la forza l’invasione straniera. A loro avviso, la guerra era necessaria per purificare il Giappone e liberarlo dal governo illecito inoltre, la decisiva disfatta del bakufu, avrebbe messo fine al malessere sociale. In realtà, la loro posizione celava una secolare frustrazione, infatti, il carattere ereditario delle cariche istituzionali, dominate dai samurai, aveva castrato le loro aspirazioni.

2.3 JirochōnoShimizu: i bakuto al servizio del kokutai.

Abbiamo visto che in passato il bakufu aveva cercato di contrastare i movimenti contrari stringendo alleanze con i gruppi criminali senza comunque soffocare le esigenze della popolazione. La rivalutazione del patrimonio culturale nazionale aveva conquistato anche gli individui socialmente esclusi raccolti nella yakuza, da sempre contrari al bakufu, pronti a schierarsi al fianco dell’imperatore.

Riconoscendosi perfettamente negli ideali del kokutai a cui si appellavano i cortigiani, la yakuza diede un contributo incisivo alla disfatta dei Tokugawa. L’assidua collaborazione, basata sul reciproco opportunismo e alimentata dagli ideali nazionalisti, si tradusse in un contributo di forza. In assenza di un contingente umano capace di fronteggiare i ribelli, la corte chiese l’intervento degli yakuza ai quali affidò il compito di usare violenza contro tutti quelli che erano favorevoli a una politica di apertura.

Il contributo della yakuza trovò in Shimizu no Jirochō (1820–1893) l’esempio più rappresentativo. Ancora oggi ai bambini giapponesi si racconta la sua storia in cui è descritto come un personaggio fiero che racchiude in sé i tradizionali valori yakuza. Jirochō, figlio adottivo di un ricco chōnin, stanco della sua vita, aderì a una delle bande bakuto nella prima metà del 1800 prosperavano lungo la Tōkaidō quindi, conquistata fama e rispetto, radunò attorno a sé una folta schiera individui socialmente esclusi. Diverse fonti affermano che, al culmine del suo prestigio, egli riuscì a formare un vero e proprio esercito pronto a intervenire in difesa dei deboli.

La tensione politica di quegli anni spinse le forze anti bakufu a richiedere l’intervento di Jirochō e del suo fedele esercito. Considerata la vecchia ostilità verso i Tokugawa, sentimento rafforzato dalla diffusione dell’ideologia del kokutai, l’eroe di Shimizu decise di appoggiare le forze di opposizione. Nel 1868 un contingente di 300 mila uomini partì da Tōkyō alla volta di Shimizu per fermare i ribelli tuttavia, questi ultimi, aiutati da Jirochō, riuscirono a sconfiggerli. Una delle tante leggende narra che, nel vedere i cadaveri dei soldati abbandonati nelle acque del mare, Jirochō, impietosito, diede loro una degna sepoltura. [9] L’esaltazione delle sue qualità umane alimentarono il mito di un personaggio già molto potente contribuendo, allo stesso tempo, all’esaltazione stessa della yakuza. In realtà, le motivazioni idealiste nascondevano la riabilitazione legale del capo bakuto che, collaborando, ottenne la cancellazione di tutti i reati commessi.[10]

2.4 Toyama Mitsuru e il nazionalismo yakuza.

Caduto il bakufu, a partire dal 1889 ebbe inizio la Restaurazione Meiji restituì alla corte Imperiale l’esercizio legittimo del potere. Dopo essere stati nominati governatori dei vecchi domini, i daimyō scomparvero definitivamente nel 1871 quando il governò trasformò gli han in ken, prefetture, poste sotto diretto controllo di Tokyo. Gli interventi successivi minarono la stratificazione sociale che impediva la modernizzazione del paese. In questo senso, l’intervento più significativo fu la formazione di un esercito di coscritti ordine che attaccò lo status dei samurai per secoli privilegiati quindi, la loro situazione peggiorò nel 1876 quando, un ordinanza del governo vietò loro di portare le spade, simbolo del secolare status sociale.

Nel tentativo di reinserirsi nella società i bushi sfruttarono l’alto grado di istruzione e le capacità organizzative diventando funzionari statali o astuti uomini d’affari tuttavia, i più conservatori si armarono nel tentativo di riconquistare i privilegi perduti. E’ interessante notare come gli stessi bushi che in passato si erano opposti all’apertura, cambiarono atteggiamento ponendosi al servizio dell’imperialismo visto come unico deterrente contro la contaminazione straniera. Tali cambiamenti si ebbero soprattutto a Fukuoka, nel Kyūshū, dove Mitsuru Toyama fondò la Kyōshisha in cui si riunirono i samurai frustrati dalla Restaurazione.

Girando per le strade del paese, Toyama aveva raccolto un discreto numero di seguaci, spesso disadattati, di cui si prendeva cura personalmente. Il temperamento violento e la sua benevolenza gli procurarono la stima e il rispetto del popolo. La sua fama raggiunse le istituzioni statali che, pur conoscendo la sua un’ inclinazione alla violenza, ne apprezzava qualità morali e il forte senso patriottico. Contando sul suo nazionalismo, il governo si servì della Genyōsha (1881), la sua società segreta, per realizzare una stretta collaborazione a sostegno dell’imperialismo. Da parte sua, Toyama desiderava estendere la sua influenza sulla sfera politica e accrescere il giro d’affari legato alle già avviate attività yakuza. Gli introiti ottenuti in questo settore gli consentirono di creare un esercito paramilitare, il Tenyūkyō che, a sostegno dell’espansione militarista, creò le condizioni ideali per il radicamento delle ideologie nazionaliste tra gli yakuza.[11]

In patria il loro sostegno veniva Tenyūkyō richiesto direttamente dalle istituzioni per soffocare qualsiasi forma eversiva e destabilizzante. In questo caso, uno degli esempi più rappresentativi fu la richiesta del Ministro degli Interni che chiese a Toyama di riunire i suoi amici yakuza al fine di reprimere i movimenti liberali. Toyama chiese l’intervento degli yakuza di Kumamato che, giunti a Fukuoka, si unirono alle forze di polizia, tutti saldamente uniti da un unico scopo: eliminare i movimenti politici destabilizzanti.

Più specifico fu l’intervento del 1892, anno delle elezioni governative. In questo caso Toyama e i suoi amici yakuza avevano il compito di favorire le elezioni raccogliendo voti con l’intimidazione o di scoraggiare la carriera degli avversari politici. Furono i seguaci di Toyoma a uccidere Taisuke Itagaki, nel 1889, ad attentare alla vita di Okuma Shigenobu allora ministro degli Esteri, entrambi colpevoli di aver aderito alle idee liberali. Inoltre, a loro si deve anche la morte di una brillante figura politica di quegli anni: Toshimichi Okubo che, per le sue idee occidentali, morì nel 1887 assassinato dagli estremisti della Genyōsha.[12]

2.5 La yakuza negli anni dell’imperialismo.

Considerata l’origine apolitica della yakuza, viene spontaneo chiedersi quali furono le ragioni che li spinsero verso gli ultra nazionalisti. In realtà, le motivazioni sono riconducibili alla perfetta integrazione delle loro ideologie. Accomunati dalla venerazione del passato romantico e dall’ostilità nei confronti del liberalismo straniero, il loro legame fu rafforzato dal comune sistema organizzativo in entrambe fondato sul rapporto oyabunkobun e da un sistema di cerimonie per la definizione dei rapporti. Le comuni ideologie favorirono l’appoggio di Toyama e dei suoi amici yakuza anche nel campo della politica estera collaborazione che nascondeva la loro vera ambizione: eliminare in patria le organizzazioni liberali e democratiche e creare all’estero le condizioni ideali per l’imperialismo nipponico. Per quanto riguarda il primo punto, abbiamo visto che il sostegno si concretizzò nei numerosi attacchi contro gli esponenti politici favorevoli all’occidentalizzazione mentre, sul piano internazionale la sua presenza si tradusse in azioni di forza a sostegno della produzione industriale da cui dipendeva la prosperità del paese. Gli ideali patriottici nascondevano le vere finalità della yakuza che cercava di mettere al riparo le sue attività finanziarie come quella relativa al reclutamento della forza lavoro da impiegare per lo sviluppo economico del Giappone.

Le ambizioni di Toyama e dei suoi amici yakuza furono soddisfatte dall’imminente invasione della Corea e della Manchuria. Nel tentativo di accrescere le loro forze, gli ultra nazionalisti chiesero il sostegno di Toyama e del Tenyūkyō che, alimentando le rivolte in Corea, offrì la giusta occasione per un massiccio intervento dei giapponesi destinati a riportare l’ordine. La presenza dei suoi seguaci vide in primo piano Uchida Ryōhei, fondatore nel 1901 della Kokuryūkai, la Società del fiume Amur nota anche Società del Drago Nero. Uchida fu uno dei principali collaboratori di Toyama dal quale ereditò non solo l’ideologia ultranazionalista ma anche le sue conoscenze yakuza e i componenti della Genyōsha.[13]

Mentre Uchida si muoveva in Manchiuria, in patria le istituzioni politiche rinnovavano l’intesa con Mitsuru Toyama ormai diventato uno degli uomini più influenti di tutto il paese. Nel 1919, con il contributo del Ministro dell’Interno Takejiro Tokunami, Toyama aveva dato vita a una vera e propria federazione di yakuza, la Dai Nippon Kokusuikai, la Società delle Essenza Nazionale del Grande Giappone. La federazione, oltre a sostenere la politica imperialista, in patria si occupava di fermare tutti quelli che, impedivano l’ascesa del “Grande Giappone”. Toyama e i suoi alleati yakuza venivano chiamati dalle stesse amministrazioni industriali al fine di soffocare scioperi e reprimere le rivendicazioni dei lavoratori che in quegli anni avevano formato i primi sindacati in difesa dei loro diritti.[14]

Con il trascorrere degli anni il potere di Toyama raggiunse livelli tanto alti da influenzare la nomina dei funzionari più importanti. Considerato la sua autorevolezza, nel mondo politico cresceva la necessità di averlo come alleato infatti, la Kokusuikai divenne presto il braccio destro del Seiyūkai, uno dei più importanti partiti politi.

Accanto all’impegno politico l’interesse dei gruppi criminali fu attratto da nuove attività redditizie come il mercato della prostituzione e quello delle sostanze narcotiche. Attratti dalle buone prospettive di guadagno, gli yakuza sfruttavano donne coreane e cinesi per soddisfare le esigenze dei soldati nipponici mentre, il controllo del mercato dei narcotici consentiva l’accumulazione di capitale con la diffusione della sostanze narcotiche in Manchuria che avrebbe fruttato circa 300 milioni di dollari.[15]

La politica espansionistica aveva dato vita a un duraturo binomio tra yakuza e governo fornendo gran parte della manovalanza, Toyama contribuì in modo decisivo all’imperialismo nipponico. Inoltre, la diffusione delle sue idee fornì la base ideologica su cui si costruirono le future organizzazioni dell’estrema destra nelle quali molti gruppi yakuza potevano soddisfare il loro spirito patriottico.

 

2.6 La yakuza durante la grande guerra.

I successi riportati dai militari del Giappone dimostravano la volontà di estendere l’influenza sui territori circostanti, idea che non fu messa da parte neanche quanto le potenze occidentali decisero l’embargo del 1941.

Le mire espansionistiche furono incentivate da un economia in pieno sviluppo, finanziata dall’accumulazione di capitali reinvestiti in loco e favorita dalla piena occupazione della forza lavoro. In realtà quest’ultimo punto era garantito dai gruppi yakuza che, oltre a procurare la manodopera necessaria, erano pronti a intervenire con violenza per soffocare gli scioperi degli operai che compromettevano l’ascesa economica del paese. Sebbene fosse ancora organizzata in piccoli clan locali, gran parte dei capitali ricavati dall’imperialismo finiva nelle tasche della yakuza. Svolgendo la tradizionale attività di procacciatori di manodopera, quest’ultima continuava a fornire la forza lavoro da impiegare nel settore dell’edilizia e in quello portuale. Sempre più spesso, infatti, i gruppi si concentravano nelle zone portuali dove raccoglievano il personale necessario per lo scarico e il carico delle grandi navi arrivate dalla Cina. Contemporaneamente, cominciarono a estendere il controllo sulla distribuzione delle merci importate fissando il prezzo di scambio al mercato nero da loro stessi gestito. Per quanto riguarda il campo dell’edilizia, usando le giuste amicizie politiche, la yakuza riuscì ad aggiudicarsi appalti di grosse proporzioni per la costruzione o il restauro di importanti impianti industriali o imponenti opere pubbliche. La decisione di affidargli lavori così importanti nasceva dalla sicurezza sul loro alto grado di affidabilità. Infatti, il loro personale era costituito da giovani disadattati con un basso grado di scolarizzazione che ne facilitava il controllo e la malleabilità.

Negli stessi anni gli yakuza gestirono l’importazione della forza lavoro coreana da sfruttare nelle miniere di carbone e, nel contempo, si occuparono della gestione dei campi in cui vivevano.[16] Fedeli alle tradizioni, gli yakuza seguitarono a contendersi i territori strategici e gli appalti più redditizi. Al fine di ridurre gli scontri tra clan, fu rafforzato il connubio tra funzionari locali e gruppi yakuza e fu mantenuta la vecchia consuetudine che affidava ai capi funzioni esattoriali, in cambio essi godevano di un certo grado di libertà nell’esercizio delle attività illegali.

 

2.7 La yakuza durante l’occupazione.

Al fine di difendere l’onore nazionale e provare la superiorità del popolo nipponico, davanti al quale tutti dovevano inchinarsi, il 7 dicembre del 1941 il Giappone attaccò la base americana di Pearl Harbor.

Dopo i primi successi del Giappone, le forze americane avanzarono convergendo sull’isola di Hokinawa che, occupata nell’aprile del 1945, divenne la base da cui partì l’invasione dell’arcipelago. Gli eventi portarono alla disfatta del Giappone che venne definitivamente sconfitto con il lancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Le risoluzioni della guerra stabilirono l’occupazione del suolo giapponese e il 2 settembre dello stesso anno, ebbe ufficialmente inizio capeggiata dal Dauglas MacArthur, Comandante Supremo delle Potenze Alleate. [17]

Giunto in Giappone, il responsabile delle forze di occupazione si trovò davanti a uno scenario impressionante. Le città erano state in gran parte distrutte dalle incessanti incursioni aeree, le industrie erano ferme e anche l’agricoltura non versava in buone condizioni. Contrariamente alle aspettative, gli americani si trovarono davanti un popolo che, deluso dall’imperialismo, era totalmente disorientato.

La consapevolezza di non poter competere con la superiorità dei suoi avversari contribuì alla riconsiderazione degli americani che da conquistatori si trasformarono in coloro che li avrebbero messi in salvo dalle disastrose condizioni economiche in cui versavano. Affiancato dalle forze militari e da un intricata rete burocratica, MacArthur, attuò il piano di smilitarizzazione eliminando gran parte delle industrie pesanti e accettando solo quelle strettamente necessarie.

Al fine di dimostrare che la presenza degli alleati contemplava la realizzazione di una nazione democratica, lo SCAP ordinò lo scioglimento delle organizzazioni militariste e l’epurazione di tutti i suoi componenti. Quest’ultima operazione fu accompagnata dalla nascita di un tribunale internazionale che aveva il compito di condannare tutti i criminali di guerra.[18] In un secondo tempo, lo SCAP ordinò un’amnistia politica grazie alla quale furono rilasciati tutti coloro che, durante la guerra, si erano opposti al militarismo e tra questi era rilevante la presenza di comunisti e socialisti.

Coscienti di non poter governare direttamente un paese così diverso, per facilitare la loro missione gli americani si servirono delle istituzioni presenti. Tuttavia, poiché l’epurazione avevano rimosso i militaristi e tutti quelli che a loro erano stati legati si assicurò la collaborazione delle autorità locali presso cui inviò alcune truppe per scongiurare eventuali disordini destabilizzanti.

Le indagini americane avevano rilevato l’esistenza di organizzazioni criminale e di una fitta rete di corruzione tuttavia, dal momento che le stesse istituzioni locali negavano l’esistenza, ogni sforzo per eliminarli si rivelò inutile. Nonostante l’impegno, gli yakuza continuarono a gestire le loro attività illecite e a coltivare le amicizie influenti infatti, i gruppi si erano riorganizzati accogliendo tutti quelli che, finita la guerra non riuscivano a trovare una sistemazione decorosa come i giapponesi rimpatriati dopo la sconfitta.

Le divisioni interne alla burocrazia americana costituivano un terreno fertile per la yakuza che, approfittando dei contrasti interni, non tardò ad estendere la sua influenza. Giovandosi della loro linea politica, i tekiya mantennero la carica di esattori delle imposte con la garanzia di trattenere metà del ricavato sotto forma di commissione. Inoltre, grazie alle grandi capacità organizzative e alle buone conoscenze, si aggiudicarono la gestione dei trasporti pubblici e quello della pulizia della strade. Questi nuovi incarichi si inserivano nelle attività tradizionali infatti, operando da tempo nel settore portuale e in quello edilizio, si aggiudicarono importanti appalti accumulando ingenti capitali e conquistando la stima dello SCAP. [19]

Contemporaneamente, la yakuza monopolizzò la gestione di tutte le attività legate al settore del divertimento trovando nelle forze d’occupazione i loro maggiori clienti. In questi anni la yakuza recuperò il controllo del mercato del sesso anche grazie alle stesse autorità che si preoccuparono di assicurare le donne destinate a soddisfare la libido dei giovani soldati americani. A tal fine il governo creò un gruppo chiamato Recreation and Amusement Association specializzata nel reperimento di giovani contadine destinate alla prostituzione. Le autorità tendevano a giustificare il loro operato sostenendo che, in realtà, il loro era un impegno volontario inoltre, lo stesso governo incitava le giovani giapponesi affinché, nell’interesse nazionale, dormissero con gli ufficiali americani. Il monopolio sul mercato del divertimento permise alla yakuza di entrare in contatto con i loro alti ufficiali destinati a diventare abituali clienti e influenti amicizie da sfruttare all’occorrenza.[20]

2.8 La riscossa della yakuza.

L’importazione di grossi quantitativi di merce, aveva creato le condizioni ideali per lo sviluppo di un mercato di vaste proporzioni che la yakuza fu pronta a monopolizzare. Con la fine della guerra il disordine socio politico e la dura campagna di epurazione avevano disgregato i gruppi yakuza che persero il controllo di gran parte dei loro affari.

La confusione in cui versava il paese e la democratica amministrazione americana si trasformò in un ottima occasione di riscatto per i sangokujin, gente dei tre paesi. La presenza delle minoranze etniche, in prevalenza provenienti da Taiwan, Cina e Korea, risaliva agli anni dell’imperialismo quando furono trasportati in Giappone e impiegati nelle fabbriche e nelle miniere di carbone in condizioni di semi schiavitù. Con l’intervento delle forze alleate parte degli stranieri era stata rimpatriata tuttavia, alcuni erano rimasti nell’arcipelago nella speranza di fare fortuna approfittando dell’amministrazione straniera.[21] Giovandosi del liberalismo statunitense, i sangokujin sistemarono i loro banchetti lungo le vie ampliando in poco tempo il controllo sul mercato nero.

In quel periodo lo SCAP, troppo impegnato nella caccia ai criminali di guerra, non si occupava delle loro dei sangokujin che, memori dello sfruttamento e dei maltrattamenti subiti, indisturbati, sottoponevano i giapponesi a pesanti estorsioni e a violenti attacchi. Essi si muovevano liberamente anche perché, in realtà, il corpo di polizia, duramente colpito dall’epurazione, era del tutto spaesato e incapace di intervenire per fermarli. Come da copione, spesso erano gli stessi funzionari locali a chiedere il sostegno dei tekiya per consuetudine pronti a intervenire in difesa dei deboli.

Da un’accurata analisi appare chiaro come, in realtà, il loro intervento mirasse a eliminare gli stranieri per riappropriarsi di un settore in cui tekiya avevano sempre primeggiato. Inoltre non va dimenticato che con il loro intervento essi si garantivano l’appoggio della polizia che, seguendo la tradizione, in un prossimo futuro sarebbe stata pronta a restituire il favore ricevuto.

Come previsto, gli scontri tra yakuza e sangukujin si trasformavano in violente battaglie al punto che, ancora oggi, gli anziani le ricordano con orgoglio descrivendole come grandi combattimenti dall’alto valore patriottico. Bisogna comunque sottolineare che questo aspetto patriottico fu alimentato dai numerosi cantori che dipingono la yakuza come valorosi liberatori, restituendogli quell’aspetto eroico che li aveva accompagnati sin dalla loro comparsa.

2.9 L’atteggiamento degli americani di fronte ai disordini.

Gli scontri tra sangokujin e tekiya furono sostanzialmente ignorati dalle autorità americane poiché, in realtà, anche se coscienti della loro violenza, non riuscivano a individuarne i veri motivi. Un primo passo avanti sembrò esserci nel 1946 quando, in seguito a una catena di omicidi, furono avviate indagini. Queste rivelarono la presenza di fuorilegge riuniti in bande che, dopo aver estromesso i rivali, avevano conquistato il controllo del mercato nero. Grazie alla collaborazione delle autorità locali, i tekiya gestivano un giro d’affari di grandi proporzioni finanziato dalle somme che, mensilmente, i gestori dei banchetti pagavano a titolo di concessione territoriale, per la pulizia dello spazio occupato e per l’usufrutto dell’elettricità.

In quello stesso periodo alcune voci affermavano l’esistenza del crimine organizzato descritto come una potente macchina con una vasta influenza non solo economica ma anche politica. Nel 1947 alcuni giornalisti del New York Herald Tribune del New York Times accusarono pubblicamente ufficiali americani colpevoli di essersi arricchiti collaborando con la criminalità organizzata. Le indagini mostrarono la partecipazione di importanti personaggi americani all’approvvigionamento del mercato nero a cui fornivano circa 10% delle merci scambiate alimentando un giro d’affari di grosse proporzioni. Inoltre, i reporter svelarono l’esistenza di una fitta rete di corruzione in cui erano coinvolti importanti ufficiali dello SCAP che, mensilmente, ricevevano ingenti somme in yen. Le indagini dei reporter americani provarono che, proprio il mercato del sesso fungeva da palcoscenico per la realizzazione di importanti collaborazioni tra forze di occupazione e capi yakuza. [22]

Negli stessi anni fu avanzata la tesi secondo la quale i gruppi di malviventi erano dominati da uno spirito militare e ultra nazionalista che, in mancanza di un doveroso intervenuto, avrebbe compromesso il piano di ricostruzione.

Dopo varie pressioni, finalmente, le autorità americane si mossero per trovare un rimedio e, per prima cosa dichiararono illegale la conversione di yen in dollari. Intimoriti dalla ricomparsa del militarismo, dopo aver ridotto al minimo i contatti con il popolo autoctono, chiesero l’intervento della magistratura giapponese. Quest’ultima, nonostante cercasse smentire le indagini, ordinò l’arresto di circa 50.000 sospetti dei quali in realtà, solo il 2% fu dichiarato colpevole. Successivamente fu accertato che le sentenze di innocenza erano state emesse sulla base di testimonianze riluttanti o in seguito a forti pressioni esercitate sulla corte da politici influenti inclusi esponenti della Dieta che, per loro stessa ammissione, avevano ricevuto donazioni illegali durante le elezioni del 1946. A dispetto dell’azione legale, in realtà, i trasferimenti di denaro continuarono sotto altre forme.[23]

Il fallimento evidenziò quanto fosse superficiale la conoscenza degli americani incapaci di comprendere a pieno la cultura nipponica. Ciò che loro consideravano corruzione, in realtà, seguiva una tradizione profondamente radicata nel tempo. Nel periodo Tokugawa gli alti ranghi erano abituati ad aumentare i loro stipendi con donazioni mensili; la consuetudine ridusse al minimo la linea di distinzione tra etichetta e donazione e la confusione fu tale da giustificare l’alleanza tra interessi pubblici e privati.[24]

 

2.10 La nuova yakuza: i gurentai.

Negli stessi anni in cui si inasprivano i controlli delle istituzioni locali e straniere, senza che le stesse se ne rendessero conto, nasceva un nuovo gruppo criminale, i gurentai, destinato a influenzare il modello della successive organizzazioni criminali.[25]

Sfruttando il disorientamento politico e il degrado morale diffusosi dopo il grande conflitto, i gurentai (la parola deriva dalla combinazione di gureru, diventare cattivo, e rentai, organizzazione militare; spesso il suffisso gu suggerisce stupidità o sciocchezza) estesero il controllo su ogni attività illecita gestita dai bakuto che, per sopravvivere, furono costretti a unirsi ai vincitori. Eludendo i controlli delle autorità competenti, che ben si prestavano alla corruzione, in breve tempo i nuovi yakuza si aggiudicarono la gestione delle case di piacere che, nonostante i divieti dello SCAP, continuavano a trovare negli americani i maggiori clienti. Anche i gurentai entravano in lotta tra loro per controllare i niwabari e, allontanandosi dalla tradizione, sostituirono le spade con le armi da fuoco. Inoltre, mentre in passato le parti si impegnavano tacitamente a escludere il coinvolgimento della i katagi, gente comune, i nuovi yakuza non se ne curavano. In passato, nel caso in cui uno dei componenti avesse colpito un katagi, anche se solo inavvertitamente, il colpevole veniva immediatamente punito e ancora oggi capita che gli stessi chiedano pubblicamente scusa. L’assenza di riguardo verso il katagi mette in primo piano il carattere delle nuove organizzazioni composte da individui violenti e privi di scrupoli, dominati da un rinnovato ultra nazionalismo e da una profonda avversione nei confronti delle idee comuniste e socialiste.[26] Nonostante dichiarassero di essere i diretti discendenti della yakuza tradizionale, in realtà, da loro avevano ereditato solo una piccola parte degli alti valori che avevano fatto dei loro padri eroi al servizio dei più deboli.

2.11 La nuova linea dello SCAP.

L’incertezza in cui versava il popolo giapponese il giorno dopo la sconfitta creò le condizioni ideali per un giusto intervento delle forze di occupazione che intendevano realizzare uno stato democratico e economicamente indipendente. Lo SCAP si adoperò quindi per eliminare persone o movimenti che ne ostacolavano i loro piani.

Nelle liste di epurazione furono inclusi importanti personaggi del mondo economico accusati di aver messo a disposizione dell’imperialismo i loro capitali finanziari e industriali.

Al fine di avvicinare il Giappone ai paesi più progrediti, furono incoraggiate riforme per migliorare le condizioni dei lavoratori e promosse attività sindacali. Alla loro guida si ritrovarono gli stessi individui epurati negli anni trenta e rilasciati nel 1945 in seguito all’amnistia concessa dagli alleati in segno di democratizzazione del paese. Negli anni precedenti il conflitto mondiale, le repressioni degli imperialisti non erano riuscite a estirpare completamente le idee comuniste rinnovate grazie all’amnistia. Giovandosi del malessere popolare, profondamente ostile al militarismo, i comunisti diffondevano liberamente le loro idee presentate come unica alternativa a un capitalismo guerrafondaio.

In principio le attività sindacali agirono indisturbate tuttavia, man mano che la sinistra conquistava il consenso dei lavoratori, lo SCAP cominciò a preoccuparsi. Le ansie degli statunitensi furono alimentate dalla consapevolezza che tra i lavoratori si faceva forte l’idea della lotta politica come metodo più diretto per concretizzare i loro obbiettivi.[27]

Le inquietudini degli alleati aumentarono al variare della situazione internazionale e con l’inizio della guerra fredda. La vittoria dei comunisti in Cina e l’espansione russa in Europa aveva sconvolto l’unità internazionale e evidenziato una grande spaccatura politica al centro della quale il Giappone occupava un ruolo determinante. Nel tentativo di scongiurare l’ondata rossa, gli americani lasciarono gran parte delle misure precedentemente adottate e, con priorità assoluta, si dedicarono al rilancio economico del Giappone.

Le tensioni salirono con lo scoppio della guerra in Korea nel 1950 quando l’arcipelago fornì le basi da cui partivano le incursioni aeree americane. Il pericolo di una nuova guerra nucleare alimentò l’astio popolare pronto a schierarsi dalla parte della propaganda comunista. Accorgendosi del pericolo, le autorità americane cercarono di porre rimedio giovandosi della collaborazione delle istituzioni nipponiche e della storica avversione verso l’ideologia comunista. [28]

2.12 La yakuza al servizio dell’anticomunismo.

La comune insofferenza verso la sinistra favorì l’alleanza tra forze di occupazione e destra nipponica realizzata anche con la valida collaborazione delle istituzioni governative guidate da Shigeru Yoshida, felice sostenitore dell’epurazione rossa. Il legame fu stretto per agevolare il rilancio economico del Giappone e, al fine di eliminare danni alla produzione, entrambi avviarono una dura campagna nei confronti delle attività sindacali bloccando e respingendo ogni forma di protesta dei salariati. Per frenare la propaganda dei comunisti, lo SCAP ordinò la registrazione delle loro organizzazioni procedendo all’epurazione dei suoi partecipanti.[29]

L’idea di estirpare del tutto le associazioni comuniste scaturiva dalla necessità di mettere fine ai loro scompigli. Tuttavia, dietro si nascondeva la necessità di impedire che il Giappone diventasse terreno fertile per la dottrina comunista. Era ormai palese che la nuova linea politica degli americani appoggiava l’ascesa dei vecchi conservatori che, avvertito il “pericolo rosso”, erano ben lieti di collaborare. Nell’intento di impedire la vittoria comunista, nel 1947, gli americani chiusero le liste di epurazione degli ultra nazionalisti e liberarono potenti criminali di guerra. La loro scarcerazione favorì il rinnovamento dei gruppi ultranazionalisti modellati sulla base delle vecchie organizzazioni di Toyama e Uchida.[30]

Con il dilagare delle proteste sindacali, sempre più agguerrite, le organizzazioni di estrema destra rinnovarono la collaborazione con i vecchi amici yakuza che, nel frattempo, si erano riorganizzati chiamando i componenti scampati alla carcerazione. In realtà, nonostante le passate misure restrittive, Yoshida e i suoi collaboratori avevano mantenuto buoni rapporti con i bakuto. Capitava spesso che questi ultimi venissero invitati nelle residenze ministeriali dove si occupavano di intrattenere i padroni di casa con il gioco d’azzardo. Rispondendo alle richieste dello SCAP, il governo chiese la collaborazione dei gurentai, notoriamente contrari all’ideologia comunista, ai quali affidò il compito di impedire o soffocare gli scioperi e le proteste degli comunisti contrari ai programmi capitalisti.[31]

Mentre la sinistra conquistava il favore popolare, i gurentai, prontamente, intervenivano diffondendo il terrore tra i lavoratori scoraggiandoli da qualsiasi altra pretesa sindacale. Malgrado gli attacchi i comunisti mantenevano vivo il consenso popolare così, nel tentativo di screditarne l’immagine pubblica, lo SCAP ordinò ai nuovi yakuza sabotaggi, incidenti e rivolte attribuendone la responsabilità alla sinistra. Uno dei casi più clamorosi si verificò nella città di Matsukawa quando, in seguito a un sabotaggio, un treno deragliò causando la morte di alcuni civili. Le indagini portarono alla incriminazione di operai e dirigenti sindacali; qualche anno dopo alcune fonti accusarono un gruppo di tekiya itineranti, lì presenti quando il fatto si verificò.

E’ anche possibile che i colpevoli delle stragi violente appartenessero alle frange comuniste dato che, gli stessi capi promuovevano la lotta armata necessaria per il miglioramento delle condizioni lavorative. Tuttavia, considerato l’astio e la paura dei conservatori, è inevitabile notare che gli incidenti si verificarono proprio negli anni in cui gli avversari politici raccoglievano un ampio consenso popolare.

 
 

2.13 Alcuni nomi eccellenti di yakuza al servizio dell’occupazione.

Il timore di un’insurrezione destabilizzante guidata della sinistra e una loro potenziale vittoria, allarmò le autorità che chiamarono a raccolta tutti quelli che sarebbero stati pronti a schierarsi con loro per il bene della nazione. Considerata la gravità del pericolo, gli unici individui capaci di rispondere a tali esigenze erano gli yakuza che, dominati da radicati valori tradizionali, prontamente avrebbero messo a repentaglio la loro vita per la salvezza del paese.

2.13.1 Ando Akira.

In questo quadro si colloca lo yakuza Ando Akira, uno dei più stretti collaboratori degli alleati. Negli anni dell’imperialismo, grazie al controllo sull’importazione della forza lavoro asiatica, Ando aveva accumulato ingenti capitali e stretto amicizie di forte peso politico. Con la capitolazione del Giappone, tra i simpatizzanti di Ando si aggiunsero nomi di illustri dirigenti americani grazie ai quali ottenne numerosi appalti come, per esempio, quello per il risanamento dell’area in cui sarebbe arrivato MacArthur. Condannato con l’ accusa di essere uno dei più grandi gestori del mercato nero, a dispetto delle pesanti imputazioni, si avvalse dei suoi complici per evitare il carcere.[32]

Finita la guerra, Ando aveva in mano la gestione di un grande patrimonio finanziario, frutto di disparate attività che andavano dalla conduzione di società dell’edilizia fino alla gestione delle case di piacere e di altre attività legate al mondo della yakuza. Tra i maggiori clienti del mercato del sesso rientravano alti ufficiali dell’esercito americano di fronte ai quali, con orgoglio, Ando dichiarava il suo amore per la democrazia e la sua profonda avversione verso il comunismo.

Considerati i nuovi eventi, esistevano i presupposti ideali per ottenere il suo sostegno. Il governo tenne conto della sua posizione politica conservatrice e anticomunista chiedendo l’intervento delle sue truppe di gurentai.[33]

 

2.13.2 Ozu Kinosuke

Un altro potente yakuza a servizio dell’offensiva contro i comunisti era Ozu Kinosuke, capo della KantōOzugumi. La sua carriera criminale fu costellata da importanti vittorie che lo condussero a estromettere i bakuto dal controllo del gioco d’azzardo e, principalmente, dal monopolio del mercato della prostituzione.

La sua reputazione era così grande da farlo apparire come l’indiscusso capo di uno dei clan yakuza più numerosi e influenti di Tōkyō. Egli aveva concentrato gli affari nei pressi della stazione di Shinbuya dove i suoi seguaci gestivano gli scambi al mercato nero.

Sebbene la magistratura lo indicasse come uno dei più influenti e pericolosi capi yakuza, grazie alle potenti amicizie, si procurò la documentazione medica che, certificate le sue gravi condizioni di salute, ne impedì la carcerazione. A parere delle autorità, Ozu e il suo numeroso gruppo di yakuza mostravano qualità tali da designarlo uno dei maggiori sostenitori del programma politico anticomunista.

Negli anni successivi anche Ozu ampliò conoscenze e legami con le autorità americane e con i conservatori al governo lieto di unirsi a loro fornendo la forza necessaria contro i comunisti. La sua affidabilità e fedeltà fu provata dalla tempestività con cui rispose all’appello di Kodama che, nel 1960, chiedeva uno schieramento di forze yakuza per scongiurare eventuali disordini in vista della visita di Eisenhower.[34]

2.13.3 Kazuo Taoka

Tra gli yakuza che ascoltarono l’appello delle autorità, indubbiamente, Kazuo Taoka è il nome che ebbe maggior risonanza. La storia di Kazuo rappresenta un classico esempio di come, una persona comune possa diventare uno yakuza di importanza nazionale.

Cresciuto orfano, sin da ragazzo diede prova di quelle grandi qualità morali e fisiche che lo fecero diventare uno degli uomini più potenti del dopo guerra. Il suo carattere violento e tenace gli consentì di conquistare il rispetto di un discreto numero di giovani che sottostavano alle sue direttive. Il suo comportamento impressionò Hideo Yamaguchi, capo della Yamaguchigumi, un gruppo di yakuza che negli anni venti aveva esteso il controllo su varie attività concentrate nella zona di Kobe. Avendo riconosciuto in Kazuo le qualità che ne avrebbero fatto un valido uomo politico e un intraprendente uomo d’affari, Yamaguchi decise di prenderlo sotto la sua protezione.[35]

Mentre negli anni dell’imperialismo si consolidava il legame tra politica e yakuza al servizio della causa nazionalista, Kazuo escluso dall’esercito coscritto perché ritenuto non idoneo, era ancora lontano da una coscienza politica ben definita. Nel 1936 entrò definitivamente nella Yamaguchigumi e nello stesso anno fu incarcerato perché accusato di aver ucciso un altro yakuza, colpevole di aver macchiato il suo orgoglio. Dopo essere venuto a conoscenza del fatto che il suo gruppo assecondava la politica imperialista, cominciò a interessarsi al pensiero nazionalista a cui si sentiva vicino per l’amore verso l’Imperatore e la nazione.[36]

Uscito di prigione nel 1943, Kazuo si adoperò per la ricostruzione del suo vecchio gruppo disperso durante la guerra e di cui erano rimasti solo 25 componenti effettivi. La tenacia e l’intraprendenza che da sempre lo avevano caratterizzato, lo portarono a rinnovare la Yamaguchigumi, il clan yakuza più potente di tutta Kobe. In pochi anni Kazuo Taoka allargò il gruppo grazie all’adesione o alla fusione con nuovi gruppi. Inoltre, la conquista di nuovi niwabari e delle attività ivi localizzate alimentarono il suo già vasto giro d’affari. Per avere un’idea dell’intraprendenza di Kazuo sufficiente sapere che nel 1973 la Yamaguchigumi contava 10.330 affiliati esclusi quelli delle successive fusioni con i clan della Inagawakai.

Alla fine della guerra divenne un fedele alleato di Kodama, entrambi legati da un’amicizia risalente ai tempi di Hideo. Animato da un forte spirito nazionalista, Kazuo fu pronto a intervenire a sostegno della destra nelle azioni repressive contro la sinistra. Egli stesso sosteneva che i comunisti erano gli unici capaci di ridurre il popolo in miseria. La sua posizione avvalorava l’intervento delle autorità che, a suo avviso, solo con la forza avrebbero purificato il Giappone e eliminato ogni forma di dissenso.

Tra i nomi illustri che popolavano la sua sfera di amicizie erano compresi diversi personaggi del panorama economico. Riflettendo l’opinione comune tra gli yakuza, Kazuo riteneva che ogni dipendente dovesse riversare la totale devozione al suo datore di lavoro. Essendo a conoscenza delle sue posizioni antisindacaliste, le imprese chiedevano il sostegno del potente yakuza che, prontamente, soffocava gli scioperi e inoltre, con sempre più frequenza, usava l’intimidazione o la violenza per scoraggiare la propaganda sindacalista.[37]

 

2.14 I tre kuromaku.

Abbiamo avuto modo di venire a conoscenza del mutato atteggiamento dello SCAP evidenziato, principalmente, dalla scarcerazione dei criminali di guerra.

E’ interessante notare come, l’assenza di fonti attendibili e le fragili tesi americane rendano difficile la ricostruzione della verità storica. Malgrado le difficoltà, la documentazione disponibile evidenzia come il rilascio dei criminali coincida con la rinascita del comunismo in Giappone e l’inizio della guerra fredda.

Appurato che la yakuza costituiva l’unica forza capace di contrastare l’ascesa delle organizzazioni comuniste, si rese necessario procedere al loro reperimento. Nonostante l’incombenza, la violenza della nuova yakuza impediva allo SCAP di rivolgersi direttamente ai loro capi. Infatti, una diretta richiesta avrebbe sollevato diverse polemiche non solo perché in un passato non troppo lontano lo SCAP aveva promosso una campagna a loro discapito ma, soprattutto, perché la veste della nuova yakuza aveva turbato l’opinione pubblica.[38]

Visti i presupposti, si rese necessario trovare figure che facilitassero i contatti tra le parti. A tale proposito le autorità contattarono tutti quei personaggi che, prima della guerra avevano stretto solide amicizie nel mondo della yakuza. A partire dal 1948, entrarono in scena i tre kuromaku, colui che lavora e opera dietro la scena, Ryōichi Sasakawa, Nokusuke Kishi e Yoshio Kodama, destinati a diventare l’anello di congiunzione tra istituzioni politiche e universo criminale.

 

2.14.1 Ryōichi Sasakawa.

Personaggio dominato da un forte spirito nazionalista, notoriamente incline alla violenza, fu uno dei principali artefici del programma imperialista degli anni trenta. Le sue convinzioni nazionaliste furono tali da formare un vero e proprio esercito privato composto da 15 000 uomini, posti al servizio dell’Imperatore.

Fu un grande ammiratore di Benito Mussolini, incontrato a Roma nel 1939, e il suo fanatismo fu tale da fare indossare la camicia nera ai suoi uomini. Durante l’occupazione della Manchuria, grazie alle sue truppe assicurò la piena occupazione della manodopera disponibile diventando così uno dei principali promotori dello sviluppo economico del Giappone.[39]

Descritto come un individuo privo di scrupoli e potenzialmente pericoloso per il futuro politico del paese, accusato di crimini di guerra di classe A, nel 1945 fu rinchiuso nella prigione di Sugamo dove divise la cella con Kodama Yoshio.

Nel 1948, la sua scarcerazione fu agevolata dalla nuova linea politica dello SCAP. Quest’ultimo era venuto a conoscenza delle sue numerose amicizie legate al mondo della yakuza e delle sue idee anticomuniste. Sasakawa aveva intuito quanto fosse importante conquistare i favori degli americani e per questo usò quanto aveva a disposizione: l’opportunismo e il denaro.

La campagna imperialista si era tradotta per lui in un grande impero finanziario accumulato con attività legate al settore portuale e all’edilizia. Queste operazioni favorirono l’incontro con figure di spicco della yakuza come, Kazuo Taoka, inoltre gli consentirono di finanziare i sui gurentai inviati a sostegno delle autorità.[40] Gli ingenti finanziamenti furono favoriti dalle nuove attività a cui Sasakawa si era dedicato dopo la guerra. Alle tradizionali attività yakuza quali usura, estorsioni e mercato della prostituzione, si aggiungevano i proventi ricavati dal controllo della pornografia e dello spaccio di sostanze stupefacenti.[41]

Al successo economica si affiancava il costante impegno filantropico che egli stesso tendeva a sottolineare negli spazi pubblicitari trasmessi dalle televisioni di sua proprietà. Dopo aver conquistato l’opinione pubblica dei connazionali, Sasakawa si preoccupò di riabilitare la sua immagine agli occhi degli americani e per questo fece pervenire cospicue donazioni fatte nelle casse delle loro università.

 

2.14.2 Kishi Nobusuke.

Definito come il più singolare dei tre kuromaku, Kishi cominciò la sua carriera politica come seguace di Kita Ikki.

Tra il 1936 e il 1939 fu uno dei personaggi più influenti del Manchukuo e grazie al sostegno dei giovani yakuza coscritti, accumulò ingenti capitali. Lasciata la Manchuria nel 1941, fu chiamato a dirigere il Ministero del Commercio e dell’Industria ruolo che contribuì ad accrescere il suo potere nella sfera politica .

Con la sconfitta del Giappone, incriminato come criminale di guerra di classe A, fu incarcerato a Sugamo dove rimase fino al 23 dicembre 1948, data in cui venne rilasciato insieme a Kodama e Sasakawa. Uscito dal carcere, si impegnò per riabilitare la sua immagine presentandosi come rispettabile uomo politico al servizio della patria. Alleatosi con la destra nel 1952, a partire dal 1955 passò alla guida del Jiyūminshuto quindi nel 1957 fu nominato Primo Ministro.

Il suo percorso politico fu agevolato dagli ingenti capitali accumulati negli anni trenta grazie ai assoldava gli yakuza che, con l’intimidazione, si procurava i voti necessari o scoraggiava eventuali oppositori. In tal senso fu determinante il ruolo di Kodama Yoshio, amico di vecchia data, pronto a intervenire in suo aiuto per favorirgli l’ascesa verso le più alte vette istituzionali.[42]

Gli anni sessanta furono animati da dimostrazioni popolari contrarie al rinnovo del patto di sicurezza e alla presenza di armi nucleari americane sul suolo nipponico. Le proteste, capeggiate da esponenti di sinistra e sostenute dall’opinione pubblica, destarono preoccupazione sia nell’ambiente politico, sia in quello finanziario. Tenendo conto dell’incompetenza delle forze di polizia, Kishi si rivolse al fedele Kodama che, immediatamente, intervenne. Quest’ultimo, convocò gli yakuza più influenti creando un vero e proprio esercito di 28.000 uomini al servizio del Ministro Kishi e della causa nazionale. E’ interessante notare come, tra gli yakuza interpellati, spiccavano i nomi Kakuji Inagawa, capo della Kenseikai; Yoshimitsu Sekigami, capo della Sumiyaoshikai e Konosuke Ozu, tutti pronti a intervenire per la salvezza del paese. Il loro intervento rafforzò l’alleanza tra la teppa locale e le strutture politiche che legittimarono la loro presenza in nome della nazione.[43]

 

2.14.3 Kodama Yoshio.

Mentre Taoka Kazuo diventava uno degli yakuza più potenti, Kodama Yoshio aderiva al pensiero ultranazionalista diventando il pupillo di Toyama Mitsuru. Egli fu uno dei maggiori sostenitori della campagna imperialista in Cina dove, come ufficiale dell’esercito, diede prova di grandi capacità organizzative e imprenditoriali. Queste qualità, insieme al carisma che lo caratterizzava, gli fecero guadagnare la fiducia del governo di Tōkyō che, a partire dal 1939, lo mandò in giro per l’Asia al fine di raccogliere informazioni sul comunismo.[44]

Nel 1941, subito dopo l’attacco a Pearl Harbor, fondò a Shangai la Kodama Kikan da cui ebbe origine un impero economico che, alla fine della guerra, raggiunse un giro di affari di 175 milioni di dollari. Egli era solito presentare la sua società come una compagnia totalmente priva di lucro nella quale il bilancio attivo era assicurato dalle prestazioni dei suoi fedeli collaboratori che, spontaneamente, si sacrificavano in nome della prosperità della patria. In realtà, indagini accurate rivelarono la costruzione di un vero e proprio colosso economico realizzato con lo sfruttamento di lavoratori coreani e cinesi operanti in condizioni disumane e sotto stretta sorveglianza delle truppe di gurentai. La presenza di questi ultimi fu fondamentale, infatti, accortosi dei profitti legati al mercato degli stupefacenti, Kodama divenne uno dei maggiori trafficanti di oppio.[45]

La gestione dei settori strategici gli consentì di conquistare la stima dei maggiori rappresentanti del mondo economico e politico. Usando astuzia e amicizie importanti diventò il maggior fornitore di tungsteno, controllò l’estrazione dei metalli e commerciò in materiali bellici.

Alla fine del conflitto, benché avesse cercato di eludere l’epurazione dello SCAP diventando consigliere imperiale, fu catturato e incriminato dal tribunale internazionale che lo dichiarò criminale di guerra di classe A. La sentenza di colpevolezza fu accompagnata da un severo giudizio che lo dipinse come il patriota più pericoloso. Rinchiuso a Sugamo da dove fu inaspettatamente rilasciato alla fine del 1948.

Sebbene gli americani tendessero a legittimare il rilascio di Kodama, facendolo rientrare nel progetto di assoluzione dei civili di fatto, è probabile che essi avessero chiesto la collaborazione di Kodama quando ancora si trovava a Sugamo. Consapevole della necessità di cooperare, Kodama fu lieto di rivelare le informazioni raccolte durante il suo soggiorno cinese, dando inizio a un’intensa collaborazione che lo fece comparire nel libro paga della CIA. Infatti, nel 1949, in cambio di 150 mila dollari, la CIA sfruttò le conoscenze di Kodama e gli affidò il compito di fare uscire dalla Cina un carico di tungsteno. In realtà la merce non fu mai consegnata, Kodama si tenne il denaro sostenendo che la nave era naufragata.[46]

Nel corso degli anni, grazie alle cospicue donazioni a sostegno del partito conservatore, Kodama riuscì a erigere attorno al governo un blocco politico. Ancora prima dell’ingresso nel carcere di Sugamo, Kodama aveva affidato la gestione del suo patrimonio a Karoku Tsuji, suo amico sin dai tempi della militanza al fianco di Toyama. Quest’ultimo aveva il compito di usare il denaro per finanziare la fondazione del neo Partito Democratico Liberale, donazioni che crearono la base su cui si fondò la stretta collaborazione tra Kodama e la diplomazia nipponica: il denaro.

Rimesso in libertà, il potente kuromaku si mosse per riallacciare i rapporti con le sue vecchie amicizie della yakuza. In precedenza, parlando di Kishi e Sasagawa, abbiamo avuto modo di capire quanto fosse importane il suo ruolo. Infatti, la sua intercessione veniva chiesta tutte le volte in cui il governo si rivelava incapace di intervenire con forza per riportare l’ordine tra la folla. Inoltre, ogni volta in cui la sinistra guidava le rivendicazioni dei lavoratori o faceva propaganda anticapitalista, le istituzioni si rivolgevano a Kodama. Il suo intervento si rivelò determinante soprattutto in periodo elettorale quando, i suoi yakuza erano utili per screditarne l’immagine della sinistra, scoraggiare gli avversari politici e procurare voti con l’intimidazione.

Nel 1949 Kodama era diventato uno degli uomini più autorevoli del Giappone con solide amicizie nel campo politico-economico e con un potere tale da influenzare l’operato della Zen Ai Kaigi nella quale era rilevante la presenza di yakuza.

Tra le sue amicizie comparivano potenti clan yakuza come la Sumiyoshikai di Tokyo, Kinosuke Ozu della Kinseikai e la Yamaguchigumi di Kobe inoltre, poiché tutti ne avevano gran rispetto, spesso interveniva come intermediario per sedare le dispute fra clan rivali.

Ormai consolidati i legami con il panorama politico-economico, Kodama si adoperò per realizzare una coalizione di yakuza che, animata da forti sentimenti nazionali, doveva essere un baluardo contro i movimenti di sinistra. La sua proposta fu accolta da sette importanti gruppi. Nel 1963, guidati dallo stesso Kodama, questi si unirono per formare la Kantōkai tuttavia, nonostante i primi successi, a causa dei conflitti interni al gruppo stesso, la coalizione incominciò a disgregarsi fino a sciogliersi definitivamente nel 1965.

Gli scontri tra i clan si erano trasferiti sulla scena politica nella quale si ripetevano i casi di estorsione, intimidazione e violenza. Intimidito, il governo si appellò al buon senso dei funzionari implicati e, per ridurre il fenomeno, diede inizio ad accurate indagini.

Il fallimento del suo progetto non intaccò l’immagine di Kodama, infatti, i personaggi della politica, yakuza potenti, gli uomini d’affari più importanti e gli intellettuali più in vista continuarono a frequentare casa sua, tutti disposti ad aspettare anche ore pur di rendergli omaggio e ascoltare le sue parole.[47]

 


[1] Edwin O. REISCHUER, op. cit. pp

[2] Giorgio BORSA, Il Nazionalismo nella Tradizione Politica Giapponese Pre moderna, in Le Origini del Nazionalismo in Asia Orientale, Appunti di Storia Modera del Professor Giancarlo Calza, Università di Pavia, pp. 68-114.

[3] Edwin O REISCHAUER, op. cit.

[4] George DE VOS, Keiichi MIZUSHIMA, op. cit., p.298.

[5] Giorgio BORSA, op. cit., pp. 68-114.

[6] Ibidem.

[7] Giorgio BORSA, op. cit., p.103.

[8] Edwin O. REISCHUER, op. cit. p.135.

[9] George DE VOS, Keiichi MIZUSSHIMA, op. cit., pp. 288-293.

[10] Ibid.

[11] Richard DEACON, A History of The Japanese Secret Service, London, Frederick Muller Limited, 1992, 29-51.

[12] William G. BEASLEY, The Modern History of Japan, New York, Frederick A Praeger, Inc, Publishers, 1967, pp. 120-160.

[13] Richard DEACON, op. cit., pp. 29-51.

[14] Edwin O. REISCHAUER, op. cit. pp.192–193.

[15] David KAPLAN and Alec DUBRO, Yakuza: La Mafia Giapponese, Milano, Edizioni Comunità, 1987, pp. 40-45.

[16] Robert WHITING, Tōkyō Underworld, New York, Vintage Books, (a division of Random House, Inc.), 1999, p. 227.

[17] William G. BEASLEY, op. cit.
[18] Ibid. p.282
[19] Robert WHITING, op. cit., pp. 13-18.
[20] Ibid.

[21] David KAPLAN, Alec DUBRO, op. cit. p. 56.

[22] Robert WHITING, op. cit., pp. 15-31.
[23] Ibid.

[24] Harumi BEFU, A Gift-Giving in Moderning, Japan, “Monumenta Nipponica”, Vol., 23, n. 2-3, 1968, pp. 445-456.

[25] George DE VOS, Keiichi MIZUSHIMA, op. cit. p. 300.

[26] Ibid.
[27] William G. BEASLEY, op. cit.
[28] Ibid.
[29] Edwin O. REICHAUER, op.cit.

[30] Bruce A. GRAGERT, Yakuza: The Warlords of Japanese Organized Crime, “Annual Survey of INT’L & Coomp. Law” Vol. 4, n.1, 1997, pp. 147-245.

[31] Robert WHITING, op. cit. pp. 43-44.
[32] Ibid.
[33] Ibid.
[34] Ibidem.
[35] Florence ROME, op. cit.
[36] Ibid. pp.130-132.
[37] Ibidem.
[38] Robert WHITING, op. cit.
[39] http://www.centurychna.com/

[40] David KAPLAN, Alec DUBRO, op. cit. p.95.

[41] http://www.weberman.com/
[42] William G. BEASLEY, op. cit.

[43] David KAPLAN, Alec DUBRO, op. cit., pp. 84-92.

[44] Richard DEACON, op. cit., pp. 192-200.

[45] Robert WHITING op. cit., pp. 83-90.
[46] Japan Police Ricerche, Workig Peper, n. 35, July 1995.

[47] David KAPLAN, Alec DUBRO, op. cit.